E Pezzi disse: «Questo ragazzo vincerà il Tour!»
Il patron della Mercatone Uno, Luciano Pezzi, ha vissuto il Giro di Marco tra la televisione ed il telefono. Ha corso con Coppi, guidato Gimondi, ora ha Pantani. «Non era il suo Giro – afferma – ma li ha lavorati ai fianchi. Stroncandoli». Giorno per giorno la sua «lettura». Gli attacchi sul Berta ed all’Argentario. L’impresa di Piancavallo. Lo sgarbo di Zulle a Trieste. La lucidità di Monte Campione. Il grande recupero fisico. La crono finale preparata alla Gimondi. Le cattiverie di Tonkov. Tutto questo conforta il «grande vecchio» che non ha dubbi

Dida foto pantani
di Tony Lo Schiavo
DOZZA – «Li ha lavorati ai fianchi come fa un pugile sul ring ed alla fine ha avuto ancora la forza di sferrargli l’ultimo colpo sul terreno a lui meno congeniale. E’ stato meraviglioso, Marco». Ecco come Luciano Pezzi sintetizza il Giro d’Italia del suo Pantani. Sì, perchè il campione di Cesenatico, il vecchio tecnico romagnolo, lo sente proprio suo. Ricorda ancora, senza nascondere l’amarezza, le telefonate di quanti avvisavano Cenni, il titolare della Mercatone Uno, che Pantani era un corridore finito e che la «fissazione di Pezzi» era solo il sogno romantico di una persona anziana…
«Mi ha fatto proprio divertire!» afferma compiaciuto il «grande vecchio», come lo chiamano nella squadra. Il Giro d’Italia ce l’ha ancora negli occhi e basta lasciargli la parola per farsi travolgere da un fiume di riflessioni e confidenze che la dicono lunga sul suo profondo amore verso il ciclismo e verso questo gruppo che ha voluto creare per trasfondere tutte le sue esperienze e conoscenze.
«Non era il favorito alla vigilia – esordisce – ma è partito con una grinta ed un morale che nessuno poteva immaginare. Ed in una grande corsa la concentrazione aiuta molto. E poi che qualcosa fosse cambiato in Pantani lo si è capito subito».
Come?
Ma come, non vi siete accorti che correva sempre davanti? Prima si faceva incastrare dietro, ora invece era sempre circondato dai suoi compagni nelle prime posizioni. Come Gimondi.
Allora era ottimista?
Io credo molto in Pantani e come credevo che avrebbe vinto un Giro così continuo a credere che vincerà il Tour de France. Però alla vigilia mi ero un po’ preoccupato.
Perchè?
Perchè ha saltato il Giro di Svizzera Romanda. Lui aveva bisogno di quella corsa per rifinire la sua condizione. Un collaudo molto utile fisicamente e psicologicamente. Sia Gimondi che Adorni, prima di vincere il Giro d’Italia avevano fatto il Romandia.
Eppure…
Attenzione. Io di Pantani ogni giorno scopro nuove qualità che me lo fanno apprezzare sempre di più. Marco ha lavorato da solo, a casa, con un impegno e con una qualità che merita il massimo elogio. Non è facile trovare un altro capace di fare le stesse cose in quelle condizioni. Ed ha proposito di preparazione credo vada sottolineata la qualità del lavoro svolto da Martinelli nel portare al Giro d’Italia una squadra in condizioni fisiche eccellenti.
D’altra parte tutta la squadra aveva finalizzato la sua stagione sul Giro…
E’ vero. E certamente avere obiettivi precisi aiuta. Ma una cosa è dire, una cosa è fare. Io posso dire che mi divertivo a vederlo correre al Giro.
Perchè?
Ha corso con intelligenza e professionalità. Da vero capitano. E non dimenticate che è stato il primo anno normale per Marco.
Sul Berta si è mosso e non ha raccolto nulla. Sull’Argentario si è mosso e non ha raccolto nulla. A Laceno si è mosso ed ha addirittura pagato. Non c’era qualche preoccupazione?
No. Tutte le sere parlavo con lui. Con Martinelli. Qualche volta con Podenzana. C’era una tranquillità meravigliosa. Sapevo che aveva la condizione e, conoscendolo, non avevo dubbi che questi episodi contribuivano a caricarlo ancora di più. Zulle ha fatto un grave errore…
Quando?
A Trieste. Nella crono lo ha superato senza nemmeno guardarlo in faccia. Marco non dimentica e non perdona.
A Mendrisio però ha superato ogni ottimismo.
Ero abbastanza tranquillo. Innanzitutto il percorso. Se è vero che erano equivalenti, è anche vero che a Trieste c’era prima la salita e poi la discesa, mentre a Mendrisio era il contrario. Poi si è buttato nella prima curva come una saetta. Se sbaglia l’entrata non so cosa può succedere… Ma era il segnale che aveva ancora energie da vendere.
Il Giro però lo ha vinto in montagna.
Il Giro lo ha vinto tutti i giorni. Più ci penso, più mi accorgo che Marco ne ha fatte molte di imprese. Sul Berta, all’Argentario e verso il lago di Laceno, Marco ha preso l’iniziativa ed ha scoperto gli avversari. A Schio lo ha fregato l’irruenza.
Perchè?
Se avesse affrontato le prime curve della discesa con più cautela per collaudare la strada, avrebbe vinto anche quella tappa. E non dimenticate che dopo tutto quello che gli è successo, buttarsi così in una discesa è un gesto atletico di grande valore.
L’impresa più bella?
Non è facile scegliere. Pochi ad esempio hanno valutato Piancavallo. Ed allora io dico che quella non era la salita più adatta a Marco. Anzi, forse era più adatta ai suoi avversari. Lui è riuscito a staccarli e a tenerli ad una manciata di secondi fino al traguardo. E’ segno di grande condizione. Li ha lavorati ai fianchi giorno per giorno.
A Pampeago ha avuto però un momento di stanchezza.
Credo che abbia pagato soprattutto la brevità della tappa. Però era là. Non è sceso a patti con nessuno. Io la sera l’ho chiamato e gli ho detto che io ci credevo nella vittoria finale, ma che era indispensabile che ci credesse lui. Ho capito che Marco era vivo.
A Monte Campione ha fatto una cosa da manuale.
Sì. Ma la cosa più apprezzabile è stata la lucidità che ha avuto nell’invitare Tonkov a dargli qualche cambio. Significa avere lucidità, ragionamento. E’ stato grande. Un gesto che molti hanno sottovalutato, ma che tradisce il campione. E se ci fosse stato quell’ultimo chilometro fino in cima, avrebbe raccolto ancora di più. Non ho capito perchè gli organizzatori hanno poi anticipato l’arrivo.
C’è da dire che in tutto il Giro Marco ha evidenziato un recupero strepitoso.
E’ vero. Ma Marco è intelligente. Ha corso tutto il Giro in agilità. E’ un segreto che non ho inventato io, ma che salva la gamba del corridore. Con Felice era uguale.
Ma Marco era sempre in attacco…
Marco è un corridore eccezionale. Ha una capacità di rilanciare continuamente l’azione che è una cosa incredibile. Si alzava sulla sella e rilanciava la bicicletta. Ci vuole tanta forza per fare queste cose, altrimenti caschi a sedere come un sacco. Tonkov, ad esempio, in bicicletta è compostissimo: se gli metti un bicchiere in testa, non si versa una goccia. Ma non aveva la stessa forza di Marco negli scatti.
Come hai vissuto l’ultima giornata?
Con grande intensità. Mi sembrava profondamente ingiusto che un corridore che aveva onorato il Giro come Marco potesse perderlo. Ho raccontato a Martinelli come preparavo queste cronometro con Gimondi affinchè potesse servirsi della mia esperienza. Poi ho lasciato a lui ogni decisione. Martinelli è un ragazzo eccellente. Sa fare tutto e fa tutto bene. E’ in gamba, sincero, un gran lavoratore. Attenzione, Marco non è uno facile da guidare. Ha il suo carattere e bisogna saperlo gestire.
Come preparava le crono di Gimondi?
Con Felice facevamo il riscaldamento su strada. Quindici, venti chilometri dietro macchina, poi alla partenza cinque minuti prima. Arrivi al via che hai già la confidenza con il rapporto. Mentre fare il riscaldamento sui rulli ti consuma, ti fa solo sudare. E’ utile per il pistard che deve fare la prova di velocità. Per una crono su strada ci vuole qualcosa di più.
E’ esattamente quello che ha fatto Pantani…
Lo ha deciso Martinelli. A me piace raccontargli le mie esperienze, ma è lui che deve poi farsi le proprie convinzioni e decidere.
Tonkov è stato un po’ acido con Pantani…
Mi ha sorpreso e dispiaciuto. Io avevo Felice quando è venuto fuori un certo Merckx. Ece ne ha fatti ingoiare di bocconi amari Eddy, ma non abbiamo mai messo in dubbio la sua lealtà. Abbiamo lavorato, lo abbiamo studiato, siamo riusciti a vincere ancora qualcosa.
Il gruppo mostra di funzionare molto bene…
Siamo partiti da zero, con le stampelle. E non è un modo di dire. Ma abbiamo sempre avuto ide chiare: da noi il corridore è uno solo, e si chiama Marco Pantani. Tutti gli altri sono funzionali alle sue necessità. Non è un problema di soldi, ma di ruoli.
Cosa manca ancora per vincere il Tour de France?
A Marco nulla. Sono sicuro che già quest’anno sarà un grosso protagonista perchè avendo cambiato il modo di correre già guadagna, rispetto allo scorso anno, qualche minuto. Ma i minuti da recuperare nelle crono sono il doppio rispetto al Giro.
Ed allora?
Ed allora finchè al Tour non si ricorderanno che il ciclismo vero, quello della leggenda, quello della folla, quello dei campioni è lassù, sulle montagne, per Marco sarà più difficile. L’equilibrio del percorso è fondamentale.
Su cosa poggia tutta questa fiducia nel campione?
Ho sempre avuto grande fiducia in Pantani. Erano già due anni che mi muovevo per averlo. Ma più lo conosco più ho modo di apprezzarlo. E’ un corridore che si allena all’antica. Si prepara da solo. E’ capace di uscirsene la mattina e tornare a casa la sera dopo sei, sette ore di bicicletta. Conosce il suo fisico e le sue reazioni alla perfezione. Non ricorrendo a contatori di nessun tipo è costretto ad ascoltarsi, come si faceva una volta. E questo torna molto utile in corsa.
E la vita notturna?
Mi fanno ridere quelli che alimentano questi pettegolezzi. Dicono: va in discoteca, ma un ragazzo di quell’età se una volta ogni tanto esce la sera, non fa niente di male. Quello che so io è che ho visto pochi corridori che come Marco hanno la consapevolezza che le grandi corse si vincono d’inverno. Ed è questo quello che conta.
Negli occhi di un vecchio che nella vita ha vissuto le grandi vittorie di Coppi, guidato lo splendido Tour de France di Gimondi, questo Giro di Pantani ha saputo dare emozioni non meno forti. Eppure il «grande vecchio» è tutt’altro che appagato. Ha il Tour de France nella testa. E’ convinto che Pantani lo vincerà. Spera solo che gli riesca presto perchè vuole goderselo proprio come si è divertito in questo Giro.
Tony Lo Schiavo