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Come vecchi ruderi imbottiti di tritolo crollano i primati dei 5, 10, 20 chilometri e dell’ora. Addio Merckx

Senza apparente fatica sfonda il muro dei 50 chilometri con una bicicletta di sette chili a ruote lenticolari

Didascalia

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Francesco si passa due volte il dorso della mano sotto le narici del naso. Lo fa con mosse brusche e decise. Nel gesto esprime una forza che deve garantirgli la perfetta condizione del naso, per respirare durante questo impietoso tuffo nell’ignoto, nella solitudine e nell’incubo. Si passa ancora un paio di volte un fazzoletto piegato imbevuto d’una sostanza che libera al massimo la respirazione e con un paio di smorfie assestate con forza contadina fa capire ai più, ma soprattutto a se stesso) d’essere ormai pronto per afferrare il manubrio e caricarsi per la prima fatale pedalata.
Merckx ha pedalato ad una media di 24”06 per giro. Lui dovrà viaggiare sui 24”02. Dovrà coprire il primo giro, quello dell’avviamento, in 29”02 e gli altri in 23”95. Sono passate le dieci. Sull’erba del prato il fermento è notevole: sulle tribune la gente aspetta, quasi trattenendo il respiro, il colpo di pistola. Un giudice messicano afferra da dietro il sellino e si prepara a “sganciare” il campione mentre Fucacci, chinato sulle ruote, passa ancora una volta un pezzo di lana sulle gomme per evitare che frammenti di terra o minimi corpi estranei le danneggino. I tubolari che condurranno Moser nella grande avventura sono lisci ma fatti d’una mescola aderente con la carcassa in fili di seta e in fili di cotone. Hanno uno spessore ridotto e pesano intorno ai cento grammi l’uno.

Moser parte.
In quell’attimo pieno di forza e d’incertezza il campione sintetizza un sogno e una vita. Moser si mette sui pedali per l’avventura più grande della sua intera carriera, la più difficile, quasi una scommessa irrazionale contro tutti. Ma in questo egli esprime ancora una volta il suo temperamento e il suo grande coraggio. Il campione Moser è un uomo al quale piacciono, secondo fantasia e coraggio, l’avventura, l’ignoto, la scoperta. La sua spontanea filosofia di vita lega assai bene lo spirito del corridore ciclista a quello del grande conquistatore dei tempi passati, dell’esploratore, del grande navigatore al di là dei confini del mondo conosciuto.
Moderno astronauta terrestre, più vicino allo spirito e al passo della gente comune, Moser ripone la sua bicicletta, azionata da un cuore e due gambe, come grande strumento di vita e di libertà. E vola verso il primato dell’ora.
Dal primo giro in 29 secondi passa al secondo in 21”98 e poi infila fino al decimo giro una “spaventosa” serie di 22”. Tremano (era ora…) persino i medici dell’equipe. Moser, cosa fai?
E’ chiaro che punterà soltanto ai primi record rinunciando all’ora ma questa folle partenza non può fargli correre il rischio di mettere innanzi tempo il piede giù dal pedale?

Il primato dei cinque chilometri salta come un vecchio rudere imbottito di tritolo. Un lampo e Moser tira dritto demolendo il primo record mondiale. Dal decimo giro in avanti la sua serie si assesta sui 23” con una discesa ai 22” per tre giri, dal 16. al 18. Francesco, cosa fai?
Allo scoccare di ogni giro, Moser ascolta dall’altoparlante il suo tempo e si regola così per mantenere costante il cammino. La prima sensazione importante che noi ricaviamo è che Moser sa mantenere l’azione su di un ritmo perfettamente costante. Sembra una macchina azionata dal pilota automatico. La regolarità è garantita da una potenza facilmente visibile: gli occhi degli esperti inquadrano una realtà che diventa di giro in giro più importante.

Crolla il primato dei dieci chilometri. Il preparatore atletico di Moser, il giovane Sassi, deve avanzare dalla riga di partenza per tanti metri quanti il campione, di giro in giro, ne conquista su Merckx, invisibile presenza sul campo. A questo punto Sassi avanza di corsa ed è già prossimo ad un intero giro di pista. Moser lo spinge quasi con sadico divertimento e allo scoccare del ventesimo chilometro accelera realizzando due giri di nuovo ad altissima velocità.
Questo cosa vuol dire? Benché ormai tutti prudenti, molto prudenti nell’esprimersi, i critici pensano che Moser intenda davvero spendere tutto il residuo e poi chiudere le ali in attesa della prova ufficiale fissata per lunedì 23. Invece il campione taglia il traguardo dei venti e quasi caricato dalla notizia di aver polverizzato anche questo primato di Merckx insiste scatenando una voce messicana che al microfono grida con enfasi latina molto suggestiva: va por la ora, va por la ora, va por la ora…
Infatti Moser insiste e attacca il primato dell’ora. Incredibile!
Ha battuto il primato dei 5 chilometri in 5’48”20.
Ha battuto il primato dei 10 chilometri in 11’39”75.
Ha battuto il primato mondiale dei 20 chilometri in 23’30”92.
E adesso continua.

Il viaggio non ha pentimenti. Moser si assesta sul sellino dal quale ogni tanto scivola leggermente in avanti ma esprime con la pedalata fluida e potente una sicurezza assoluta. Solo nei primi giri qualcuno teme che il campione possa cadere in leggera flessione ma la regolarità dei tempi rende sicura l’operazione sicché l’unica eventuale possibilità negativa è quella d’un crollo improvviso. Senonché Moser non segnala alcunché di strano all’infuori d’una perfetta sicurezza sulla velocità. Un paio di folate di vento gli procurano lievi sbandate anche a causa del piatto che sostiene le ruote al posto dei raggi. Ma il vento, per fortuna, non è continuo e il danno è pressoché irrilevante. Moser continua sul filo dei 23” abbondanti, cioè costantemente sotto i 24” e il suo preparatore Sassi deve ripercorrere un giro di pista dopo il primo per segnalare al corridore il vantaggio su Merckx ormai diventato abissale. Il resto è un gioco. Moser continua e conclude l’operazione approdando al primato mondiale sull’ora dopo avere infranto il muro dei cinquanta chilometri.

Sul cielo azzurro del Messico s’alza un segnale che traduce in cifre (50,808) una grande impresa dovuta al coraggio, alla fiducia, all’ottimismo d’uno dei più grandi campioni dello sport italiano. Si abbracciano commossi Martini e Bearzot e riconoscono in questa grande avventura di sport il trionfo dell’uomo col suo carico di sentimenti, di paure e di vita.
Moser è il nuovo primatista mondiale dell’ora, la sintesi della velocità e della resistenza in bicicletta. Al primo squillo del telefono, Eddy Merckx risponde allibito ad una domanda d’un giornalista belga. Che cosa ne pensi? Non ci credo, risponde sbiancando il grande campione che Moser ha spinto giù dal suo fantastico trono.

Nella febbre d’un entusiasmo che travolte la comunità Moser passa ancora per tre o quattro giri, rallentando pian piano e chiedendo strada con un gesto secco della mano. Poi scende di bicicletta e sembra il Moser di sempre, quello che approda serenamente al traguardo d’una tappa non difficile del Giro d’Italia e abbraccia la moglie, la bambina Francesca, il fratello poi parla, racconta, scende ai massaggi, si veste e quattro ore dopo l’immane fatica si sottopone ad una lunga ancorché divertita conferenza stampa.
La sera festeggerà con gli uomini dell’equipe in un ristorante italiano della zona rosa di Città del Messico. Intanto nel mondo rimbalza la notizia e crea stupore, entusiasmo, felicità, paura, incredulità, inquietudine e amore per quanto è successo da poco sulla pista assolata del Deportivo della capitale azteca.

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