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La squadra del pirata? Non solo cuore e gambe…

La serenità che c’è in squadra viene da lontano. Luciano Pezzi ha trasferito in questo gruppo tutta la sua esperienza. Di quando correva con Fausto Coppi. Di quando guidava Felice Gimondi. Martinelli è il direttore sportivo. All’antica. Sue tutte le responsabilità tecniche. Il capitano è Pantani. Ha «consigliato» Martinelli, ma non lo ha scelto lui. I corridori sono tutti al servizio del Pirata. Fin dal primo giorno i discorsi sono chiari così non ci sono equivoci o rimpianti. Il gruppo romagnolo è una scelta per agevolare Marco. E Marco vince…

Didascalia testo finto foto

di Tony Lo Schiavo

MILANO – Al controllo cardiaco fatto al mattino il cuore di Luciano Pezzi aveva risposto con regolarità. Ma il pomeriggio, dopo l’ennesima impresa di Pantani, a Monte Campione, aveva ricominciato a fare i capricci ed era stato costretto a tornare dal cardiologo. Per capire l’atmosfera particolare che regna nella squadra di Pantani, bisogna per forza partire dal «grande vecchio», come lo chiamano affettuosamente in squadra.
Questa squadra è stata costruita da Luciano Pezzi con un impegno ed un amore infinito, con il chiaro intento di realizzare, nella sua terza età, la summa di tutta la sua esperienza e conoscenza del mondo ciclistico. Da Coppi a Gimondi.
E l’esperienza gli aveva insegnato che innanzitutto bisognava avere un capitano degno di questo ruolo. Un leader capace di legare a sè un gruppo importante per ottenere risultati di grandissimo impatto. «Le classiche sono bellissime, ma un grande Giro crea il mito – sostiene Luciano Pezzi – e per questo cercavo un uomo che fosse capace di entusiasmare in un grande Giro».
E’ stato Pantani il primo mattone della squadra. Pezzi voleva lui, soltanto lui. Lo aveva cercato, corteggiato, blandito. Per averlo aveva addirittura scelto di restare fuori dal ciclismo per un anno. Ed alla fine aveva accettato di acquistare il suo contratto da Boifava con una strana operazione che all’inizio sembrava una fusione e poi era diventata l’acquisto di un pezzo di società.
La scelta del direttore sportivo è stata fatta in sintonia con Pantani, ma da Pezzi. «E’ necessario che tra il tecnico ed il capitano ci sia grande sintonia – afferma ancora Pezzi – ma guai a mettere il tecnico nelle mani del capitano».
Ma Martinelli, detto Martino, già vice campione olimpico a Montreal, ha saputo impadronirsi delle redini di questa importante avventura al di là di ogni più ottimistica previsione. Non sembra uno che sa usare il pugno duro, ma gode di una stima infinita da parte di ogni componente della squadra.
E’ stato lui a scegliere i suoi collaboratori. Anche qui Pezzi è stato chiaro: «Il direttore sportivo è il vero responsabile del gruppo, è lui che deve rendere conto alla società, è giusto che i suoi più stretti collaboratori se li scelga da solo».
Martino ha voluto al suo fianco Gianelli, un suo ex corridore costretto ad abbandonare la bici per un grave infortunio. Una sintonia vecchia e collaudata, sulla quale sapeva di poter fare affidamento.
Poi, piano piano è iniziata la costruzione della squadra, con un principio basilare. La squadra viene costruita in funzione di Marco Pantani. Non c’è spazio per altri capitani. Un discorso chiaro che ciascun corridore si è sentito fare prima ancora di affrontare ogni altro argomento legato al contratto.
Sono stati scelti corridori romagnoli non per campanilismo, ma perché a Marco sarebbe stato utile avere dei compagni a portata di mano. Per allenarsi. Per cementare un rapporto personale. Per parlare la stessa lingua.
E così ecco via via formato un gruppo che si diverte a fare fatica, che nutre una cieca fiducia nel suo leader, che sa dare a Marco quella carica che anche nei momenti più difficili è necessaria per travolgere ogni ostacolo.
Roberto Conti è brontolo, ed il soprannome la dice lunga. E’ uno che in carriera ha saputo togliersi la soddisfazione di vincere nel 1994 sull’Alpe d’Huez. E’ ravennate. Ha sempre dato il meglio di sè in salita e sa cosa vuol dire fare fatica sui tornanti. Se fuori dalle corse è un simpatico brontolone che ha sempre qualcosa da ridire su tutto, in corsa non vede altro che Marco, è il suo battistrada in salita. Sulla Marmolada, quando Savoldelli si è trovato sulla ruota Zulle, continuando a tirare senza rendersi conto di quanto quell’azione potesse essere dannosa per Pantani, Conti, fedele al suo soprannome, prima ha «brontolato» col giovane bergamasco, poi è andato anche all’ammiraglia della Saeco, da Salutini, a dire il suo …pensiero.
Fabiano Fontanelli è un altro dei romagnoli. Ama la mortadella di cui è un accanito consumatore. Tanto da trovarsi il nome dell’affettato anche sul telaio della sua bici: è il suo soprannome ufficiale. In questo Giro aveva il desiderio di poter disporre di una giornata di libertà. L’ha ottenuta ad Asiago ed ha vinto la tappa. L’indomani si è trovato in comprensibile difficoltà nel tappone dolomitico. Quando ha intuito che rischiava di uscire dal tempo massimo, ha abbandonato il suo gruppetto e da solo, su un terreno non suo, ha iniziato un dolorosissimo inseguimento contro il tempo. E’ arrivato sul traguardo stremato, convinto di aver ottenuto il lasciapassare per restare ancora al fianco di Marco. La sera in albergo la beffa. Un errore di calcolo lo aveva incluso sul momento per 17”, la correzione lo aveva escluso per 43”. Con rabbia ed occhi un po’ lucidi è voluto andare via subito. Con un vago senso di colpa nei confronti di Marco.
Stefano Garzelli è l’omino di qualità. Se non tradisce potrebbe diventare uno importante. Intanto ha scelto di stare al fianco di Marco. A imparare, a fare esperienza. Lo scorso anno ha saputo supplire con un eccellente rendimento alla sfortunata assenza di Marco sulle strade del Giro, ma pur avendo dimostrato qualità non ha avuto nessuna difficoltà a ritornare nei ranghi. «Pantani non si discute».
Marco Velo è il bello, tanto da avere in «Beautiful» la sua azzeccata etichetta. Per festeggiare il suo capitano, non ha però esitato a tagliarsi i capelli nell’ultima giornata del Giro. Ma il corridore si è rivelato una volta di più in questo Giro un atleta polivalente, veloce, resistente.
Marcello Siboni, è il più vicino a Marco. Con il celebre capitano divide la camera, gli allenamenti, i viaggi. Per il suo profilo nordico è stato soprannominato Hubner, il centravanti del Cesena di cui è un accanito tifoso. E’ stato lui nei giorni più difficili del Pirata a dividerne le ansie e le paure, sopportando le ire e le inquietudini di un campione che temeva per il suo futuro. Ma Siboni non è solo l’amico del capitano, è anche un fedele gregario che sa dedicare il meglio di sè alla causa comune.
Riccardo Forconi, è un elemento poliedrico. E’ arrivato quest’anno anche lui. Ma sembra uno cresciuto nel gruppo. Ha perfettamente capito il suo ruolo ed alla causa di Marco ha dedicato ogni sua energia. Un grande lavoratore. L’esclusione alla vigilia dell’ultima cronometro dal Giro, lo ha mortificato. Non ha voluto partecipare alla festa sentendosi un elemento di imbarazzo. Marco, pur confermano la necessità di queste sospensioni nel rispetto delle regole stabilite, ha avuto per lui parole di stima.
Dimitri Konychev è stato una sfida. Dima, come è stato sempre chiamato, rappresentava una sfida nuova per il gruppo. Martino con i russi ha avuto già altre esperienze e non si erano rivelate felici. Dima ha fama di essere estroverso ed indisciplinato, di avere qualità e indolenza. Deciderne l’ingaggio non è stato facile. Se ne è parlato a lungo prima, ma la squadra ha mostrato una tale stima nei confronti del biondo dell’Est che non solo è stato chiamato a far parte del gruppo, ma si è anche integrato con grande facilità, gratificato dalla stima che i compagni gli hanno dimostrato. Ha rivelato in questo Giro un impegno ed una abnegazione per il capitano, restando in corsa fino alla fine e lavorando con disponibilità, che in passato mai era riuscito a dare.
Massimo Podenzana è il «vecchio». Lo chiamavano il gobbo per quelle sue spalle leggermente incurvate dalla fatica che nei tanti anni di generosissimo professionismo ha profuso, ma il corridore ligure non lo amava troppo. Il vecio in questa squadra ha acquisito un carisma che lui stesso fa fatica a riconoscere. Si è sempre sentito un operaio, specializzato, bravo, ma operaio. Le luci della ribalta lo hanno sempre messo in difficoltà. La sua carriera gli ha dato belle soddisfazioni, dalla maglia rosa alla maglia tricolore, ma anche i suoi momenti migliori li ha vissuti con grandissima discrezione. Così in una squadra piena dei colori e delle voci della Romagna, la sua ponderata saggezza costituisce un elemento di grandissimo equilibrio. Se poi si aggiunge la qualità del suo rendimento si capisce perché su di lui si concentra l’affetto e la stima di tutti.

Tony Lo Schiavo

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