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Eravamo tutti lì nel giorno del dolore

C’era un mondo pieno d’amore davanti alla chiesa di Paladina quando una campana lieve diffondeva rintocchi a martello che si appoggiavano sul cuore di tutti. Corridori, giornalisti, amici e innamorati del grande campione stringevano con un forte abbraccio ideale Tiziana, Norma e Federica…

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di Nome Cognome

PALADINA – E’ andato via così Felice, di corsa, in fuga come faceva quando era sui pedali.
E di corsa, con il cuore in lacrime e un senso di vuoto che ti porta via come la corrente del mare, siamo arrivati fin qui sull’uscio della chiesa di Paladina, piccolo borgo nel quale Felice viveva in compagnia di Tiziana, sua moglie. Sedrina, dove nacque 76 anni fa, dista appena una decina di minuti di bicicletta.

Il silenzio surreale e il rintocco lento e ripetuto della campana a “martello” accompagnano e scandiscono la struggente attesa di un mattino velato e senza aria.

Siamo qui davanti all’uscio della chiesa di Paladina, dicevamo, mescolati nella folla che, muta e sgomenta, si compone con ordine facendo spazio al passaggio del feretro ricoperto di rose bianche. Dalla cripta all’ingresso della chiesa corrono un centinaio di metri e un lungo applauso che viene dal cuore. Poi di nuovo silenzio, sguardi vuoti, facce basse e abbracci struggenti pieni di affetto.
Ci sono persone di ogni età. Bambini in bicicletta, rappresentative ciclistiche locali, anziani spaesati, vecchi campioni, giovani promesse e tifosi di un tempo remoto che con le imprese di Felice ritrovarono la forza e il coraggio di tornare a sognare. Erano i primi Anni 60. Erano i primi anni di un’Italia che ripartiva anche grazie alle gesta dei sui campioni. Sandro Mazzola, Nino Benvenuti e, ovviamente, Felice Gimondi vincitore del Tour de France appena cinque anni dopo la morte del Coppi.

Facce stanche, rughe segnate dalla fatica, occhi lucidi colmi di lacrime. Ci guardiamo attorno cercando di aggrapparci agli sguardi e alle parole di chi ha conosciuto Felice come pochi altri avendo spartito con lui chilometri e avventure di carovana.
Cerchiamo conforto, cerchiamo sostegno, cerchiamo una pacca sulla spalla che possa lenire, sebbene in parte, il nostro senso di vuoto ma guardandoci intorno scopriamo che la nostra speranza è la stessa di chi ci è al fianco.
C’è Beppe Saronni e c’è Francesco Moser che a differenza del solito non ha una gran voglia di parlare.
C’è Ercole Baldini, c’è Gibì Baronchelli che piange in silenzio e c’è Moreno Argentin che in silenzio fa capolino in un angolo della camera ardente.
E poi ci sono gli amici di una vita, come Massimo Ghirotto, Dario Acquaroli, Marino Basso, Silvio Martinello, Davide Boifava, Claudio Corti, Paolo Savoldelli, Maurizio Fondriest e il “sergente di ferro” Giancarlo Ferretti che prima di diventare un affermato tecnico dell’ammiraglia corse con Gimondi per tre anni. “Ferron” era stato uno dei gregari più fidati di Felice condividendo con il campione di Sedrina tre stagioni in maglia Salvarani: tre anni nei quali Gimondi vinse due Giri d’Italia ed una Vuelta di Spagna arrivando così a conquistare la tripla corona dei grandi Giri.

Si contano circa duemila persone oltre ai tanti appassionati che, in diretta televisiva, hanno la fortuna di salutare per l’ultima volta l’ultimo passaggio del grande Felice. Adorni, che con Gimondi ci corse due stagioni insieme nella Salvarani (nel 1965 Vittorio vinse il Giro mentre Felice arrivò terzo prima di andare alla conquista del Tour dove partì come gregario dello stesso Vittorio), ricorda aneddoti e storie che meriterebbero un racconto, così come il ricordo sincero di Gianni Motta, rivale giurato in corsa ma leale avversario di Felice, trova ascolto in chi ha bisogno di aggrapparsi alla storia per ritrovare una boccata d’ossigeno.

«Era il mio mito, Felice, il campione buono che riprese per mano il grande ciclismo di Coppi e Bartal: quello della sfida e del duello che ha sempre animato ed esaltato le gesta dei protagonisti di questo sport. Merckx, il Cannibale, non gli concesse molto, è vero, ma anche per questo quello che riuscì a vincere Gimondi fu davvero straordinario».

Il commissario tecnico della nazionale italiana, ha un groppo in gola e la voce rotta da un dolore che ancora non riesce a metabolizzare. Fatica a parlare l’ex corridore romagnolo eppure non si sottrae dal ricordare quello che fu il suo idolo sin dai tempi di bambino. Sin dai in cui papà Vittorio lo portò a vedere a bordo strada i campionati del mondo di Imola: era il 1968 e quel giorno vinse Adorni in una corsa che vide ben cinque corridori azzurri piazzarsi tra i primi sei.

Norma, la primogenita e Federica, le due figlie di Felice, stringono quasi a sorreggere mamma Tiziana visibilmente scossa da un tragedia che le ha spezzato il cuore, l’anima, il sentimento di una vita vissuta per 51 anni al fianco di un uomo speciale. Il bacio al feretro, la testa poggiata sulla bara con la mano che sfiora la fotografia in bianco e nero di un Felice sorridente poggiata tra le rose bianche, è l’ultimo abbraccio, l’ultima carezza che la signora Gimondi porge al Campione.

Poi, il lento viaggio verso il cimitero Monumentale di Bergamo dove il corpo di Felice verrà cremato secondo le disposizioni della famiglia. Una famiglia straziata dal dolore che piange una persona speciale, un campione buono.
Proprio come lo piangono migliaia di persone, di appassionati e di tifosi di tutte le età che oggi, in questa triste e malinconica mattina senza aria, si sentono un po’ più soli.

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