Era partito fiducioso con prosciutti formaggi e un seguito da sceicco
All’aeroporto milanese Moser s’è presentato con moglie e figlia, bagagli, accessori e tanta gente al fianco: tutti insieme sembravano un piccolo paese n procinto di emigrare. Ecco il racconto del distacco di Francesco dall’Italia. Sui giornali campeggiava un titolo sconfortante: il consiglio dei ministri aveva pesantemente aumentato il costo della benzina. Quasi per una casuale circostanza voluta dal destino, Moser partiva per tentare il massimo della velocità, nell’ora, sui pedali d’una bicicletta, con le gambe per motore…

Didascalia testo finto
di Nome Cognome
Francesco Moser era partito per quella che considerava un’avventura affascinante; con qualche incognita, ma anche con qualche certezza scientifica (che la fama di alcuni medici dell’equipe “Enervit” era riuscita a consolidare), in una luminosa mattinata di fine dicembre. Una vera montagna di bagagli: quasi quaranta pezzi fra valige, cassette, biciclette, scatoloni. Ma gli effetti personali delle famiglie (la sua, quella del massaggiatore Gamberini – che portava la moglie e Lilla, una barboncina nera affezionatissima) del prof. Tredici, del dott. Arcelli e di una dipendente dell’Enervit, Camera, erano ben poca cosa rispetto al materiale meccanico e alimentare. Pasta, prosciutto grana di Parma, vini, mele e miele delle fattorie trentine, perfino bottiglie di conserva di pomodoro casalinga, preparata dalla signora Gamberini, fette biscottate integrali Barilla, tutti i tipi di biscotti e crackers della General Biscuit-Italia – suo cosponsor per la stagione 1984 con la Gis Gelati – e, naturalmente, tante buste di prodotti farmaceutici e dietetici che gli aveva consentito di affrontare l’impresa.
Esagerazioni all’italiana? – No, Moser non avrebbe dovuto accusare differenze di ambiente familiare e di abitudini dietetiche è un fattore di grande importanza – aveva sottolineato la sera precedente il prof. Arrigo, neurofisiologo, uno dei dodici medici che a vari livelli si erano occupati di Moser – per la serenità di Francesco che non accuserà nostalgie o turbamenti.
Moser, secondo piani meticolosi, doveva insomma arrivare al giorno “X” in condizioni nervose, oltre che fisiche, perfette. La tensione avrebbe potuto infatti alterare l’indispensabile equilibrio psicofisico.
L’incontro con la stampa in una saletta del Palasport, prima che Moser effettuasse l’ultima lunga, impegnativa seduta di allenamento italiana, (oltre tre ore), provando tre tipi di biciclette (ciascuna con qualche accessorio diverso), un nuovo casco a coda (subito contestato, perché incompleto e dunque di effetto non valutabile), sottoponendosi ad altri quattro “test Conconi”, era stato abbastanza vivace, con toni di ottimismo perfino eccessivi. Lo aveva rilevato, all’aeroporto, lo stesso dott. Arcelli, coordinatore dell’Equipe e ideatore dell’iniziativa.
Non bisogna esagerare – aveva detto il medico – i dati confortano la nostra fiducia, ma perché tutto riesca è necessario che nell’ingranaggio dell’operazione non finisca qualche granello anche piccolo: noi temiamo gli imprevisti di qualsiasi genere, anche quelli che apparentemente sembrano insignificanti. Una caduta, che rientra nelle cose comuni di un ciclista, potrebbe buttare tutto all’aria: ecco perché abbiamo sofferto per un paio di giorni dopo la scivolata al Palasport. Per fortuna è andata bene: ha le ossa buone Francesco! Mi ha detto che, pur essendo caduto in diverse occasioni non ha mai subito una sola frattura in tutta la carriera, compreso il periodo dilettantistico.
«Sono veramente buone le condizioni di Moser – aveva riferito nella stessa conferenza-stampa l’istruttore Sassi – migliori di quelle del mese di settembre, che è stato per Francesco uno dei periodi migliori. Nel “test Conconi” che effettuammo a Ferrara, la velocità di soglia fu allora di 45,900; adesso abbiamo due test: uno di 46,900 e uno di 47,100».
Ancora più esplicito il prof. Conconi che mostrando un pacco di tabulati, aveva commentato:
Questi dati, oltre a confermarci la volontà e l’intelligenza di Moser, che collabora esemplarmente, testimoniano dei suoi progressi. Dai poco più dei “quarantacinque” iniziali siamo arrivati a test fra i 47-48 (ce n’è uno infatti con velocità di soglia di 47,9). I miglioramenti più cospicui li avremo nelle tre settimane in Messico, dove è più facile la penetrazione dell’aria (che sottrae il 90 per cento di energia necessaria: il resto va diviso fra attriti del suolo, della catena eccetera). Moser in Messico, ai primi di novembre aveva toccato una velocità di soglia di 49.
Conconi aveva tuttavia aggiunto: «Certo, fra il dire e il fare… c’è di mezzo il pedalare».
Aveva parlato anche Moser, con un mezzo sorriso sulle labbra:
Ormai sono due mesi che m’impegno a fondo per questa operazione. Direi che hanno maggiormente pesato la preoccupazione, il pensiero per preparare biciclette, materiale, accessori che non la fatica degli alienamenti specifici i quali hanno pur richiesto notevole impegno, concentrazione e volontà. I medici sono più ottimisti di me, ma avendo imparato a valutare i dati, sono anch’io fiducioso.
Che Moser fosse entrato nel meccanismo alla perfezione, cosa indispensabile per sopportare disagi, sacrifici, noia della preparazione specifica, ce n’eravamo accorti al ritorno dal Palasport, la sera di mercoledì 28, dopo la seduta d’allenamento. Francesco parlava con naturalezza di grafici e di parametri col dott. Sorbini senior patron dell’Also Enervit (sulla cui auto eravamo ospiti) e col dott. Michele Ferrari, assistente del prof. Conconi all’Università di Ferrara e nuovo medico della squadra.
Non credo che Moser avesse tanta curiosità e interessi. E’ una cosa abbastanza inconsueta negli sportivi.
E il dott. Sorbini aveva osservato: «Credo che non siano tanti gli studenti di medicina che riescono a recepire in così poco tempo una cultura scientifica, sia pure riferita a un particolare settore: ma proprio questa perfetta “integrazione” gli ha consentito di valutare le sue proprie possibilità. E di convincersi che può farcela, Francesco si trova in perfetta sintonia con i suoi medici.
Moser e tutta la comitiva, compreso il prof. Conconi con le tre figlie aveva cenato all’Hotel Palace in Piazza della Repubblica, dove con il campione si trovavano Carla e la piccola Francesca giunte nel tardo pomeriggio. La famiglia era giunta all’aeroporto, l’indomani, dove già si trovava il resto della comitiva, verso le nove. Nel salone delle “partenze”, s’incrociavano altri gruppi in attesa. Erano “vacanzieri”: sul viso avevano dipinto la gioia dell’evasione, già pregustavano il piano della baldoria di fine anno alle Canarie o in Egitto. Il gruppo Moser non poteva confondersi con una qualsiasi comitiva di turisti. La grande mole di bagagli, scatoloni, cassette, valige, parenti e amici attorno, facevano piuttosto pensare a un gruppo che si trasferiva per un lungo periodo, fuori d’Italia. Faceva pensare, perché no?, a degli emigranti. La ricerca di un lavoro, di una buona sistemazione, rappresenta un traguardo per raggiungere il quale si affrontano rischi e si invoca l’indispensabile aiuto della fortuna. Moser non andava a divertirsi (anche se aveva ammesso che l’impresa, con quei suoi aspetti un po’ misteriosi, quella componente quasi fantascientifica, lo divertiva) ma a lavorare per un traguardo storico correndo il rischio della impopolarità.
Nemmeno si sentivano turisti e vacanzieri gli altri, con la sola eccezione della piccola Francesca, una bambola tutta rosa, di quattordici mesi. La moglie compartecipe delle ansie, dei sacrifici, delle privazioni di Francesco. Mi aveva detto: “Non mi sento una turista, avverto qualcosa di diverso dagli altri viaggi, sono impegnata, curiosa e anche ansiosa: ho la sensazione di andare ad assistere a un grande evento sportivo.
Carla non aveva esitato – richiesta di fissare le sue percentuali di riuscita – a rispondere: “Io sono sicura che batterà il record!
Il pensiero della moglie rifletteva la convinzione e la sicurezza del marito? In gran parte sì. La condizione, o la convinzione datagli dai tecnici e dai medici, alimentava questa fiducia familiare che sfiorava l’ottimismo? Ma non era Merckx il “mostro“, Merckx, il “marziano“ che aveva appena terminato una stagione eccezionale – la migliore, forse, per continuità della sua carriera – l’avversario da battere, con un fardello di cinque anni in più?
L’entusiasmo, la carica con i quali si è buttato in quest’avventura hanno ringiovanito Francesco di dieci anni, assicurava “Ciarèn” Fucacci, il meccanico di fiducia che sarebbe partito più tardi. E il dottor Arcelli aveva cercato di dare una spiegazione scientifica alla decisione di lanciare Moser in un duello che, al mondo ciclistico tradizionale era apparso subito impari, addirittura improponibile.
Si può arrivare allo stesso punto per strade diverse. Merckx era un grandissimo campione arrivò dove voleva con la forza, la classe anche con l’aiuto che la scienza e la tecnologia di undici anni fa potevano offrirgli. Ma senza una preparazione specifica: quella che ha fatto invece Moser in momenti lontani dagli impegni agonistici. Gli sbalzi di ritmo e di impegno in una prova su strada sono notevoli: in una prova come quella dell’ora noi pensiamo che il miglior rendimento si possa ottenere invece con uno sforzo il più possibile uniforme. L’impegno su strada comporta un diverso intervento di organi e apparati, non certo utile per la prova su pista; ecco perché noi abbiamo proferito costituire in Moser, attraverso un particolare tipo di preparazione un organismo più adatto allo scopo. Chi può negare che Merckx, con un altro metodo, meno empirico, avrebbe potuto aumentare di uno o due chilometri il proprio limite?
Arcelli e Conconi hanno, pur con aspetti diversi la stessa aria profetica… Arcelli, in attesa della “chiamata” alla sala d’imbarco ci aveva parlato di questa sua idea che era maturata da più di due anni riferita a Gsiger, che correva per la Honved Bottecchia di cui lui era consulente. Tipo ritenuto adattissimo Gisiger, ma il suo allenatore svizzero Paul Koechli (passato quest’anno con Hinault) gli aveva messo i bastoni fra le ruote. Di Moser Arcelli parò con il dott. Sorbini, essendo Francesco un “uomo Enervit”, lo scorso inverno. Moser ne fu entusiasta.
Voi scrivete che Moser avrà un premio di duecento milioni – era intervenuto il dott. Sorbini – vi assicuro che si tratta di molto, ma molto meno. Moser è un uomo intelligente, che ama il rischio e sa cogliere le occasioni: questa era l’ultima buona che gli si offriva. La parte finanziaria è la minore che gli interessi, ve l’assicuro.
Ecco: cosa costava all’Also tutta l’operazione? Sorbini, prima restio aveva infine calcolato.
All’incirca mezzo miliardo, perché ci siamo sobbarcati tutto il peso resistendo ad altre funzioni. Ma il ciclismo ha imboccato una strada nuova, affascinante: nessuno può immaginare dove potrà arrivare.
Si erano apprese cose interessanti in questi ultimi minuti di attesa: che la primitiva idea era di tentare, in ottobre-novembre, “saltando” il Giro d’Italia e magari il “mondiale”. E Francesco la scartò, che poi si era pensato a marzo-aprile: ma per le previsioni meteorologiche sfavorevoli e per altre ragioni (l’opposizione della Gis-Gelati la quale temeva di perdere il corridore per la parte migliore della stagione) si era cambiato.
La scelta venne fatta ai primi di novembre in Messico, dopo qualche test la dimostrazione fu di facile acclimatazione.
Sappiamo che a gennaio esiste un po’ di nebbia, un po’ di smog: non ci preoccupa perché ciò significa che c’è poco o niente vento aveva spiegato ancora Arcelli, ribattendo a certe obiezioni.
E Francesco? Sfarfallando qua e là firmando autografi, posando per i fotografi, giocando con la bambina, polemizzando contro i pesanti aumenti della benzina su cui i giornali titolavano vistosamente, dando un’occhiata ai bagagli aveva trovato anche modo di parlare di se stesso.
Non sono mai stato bene come in questo periodo, pur con allenamenti particolari che esigevano massima attenzione, pur con una serie di rosse incombenze. Ho capito i meccanismi dei test, la logica dei medici, mi sono convinto che posso farcela. Cinque anni in più non sono decisivi. Eppoi ho colto l’occasione quando mi si è presentata con solide basi di riuscita. Ho fatto e farò di tutto per riuscire. Non per la forma, ma per i materiali sarebbero occorsi altri due mesi. Pazienza, il rischio e l’avventura mi hanno sempre affascinato (tutti sono capaci di fare le cose facili…) Ma se dovessi fallire non mi pentirei di aver tentato. Perché sono certo di avere aperto al ciclismo una strada nuova che altri potranno percorrere. Preferiamo non pensare al dopo: ma se non mi sono sbagliato credo che la preparazione mi servirà anche per una buona primavera su strada, naturalmente modificando la metodica degli allenamenti. E adesso buon anno a tutti, aveva gridato con un po’ di emozione, varcando il “controllo”.
Poco prima, Alfredo Martini, giunto da Sesto fiorentino, lo aveva abbracciato sussurrandogli un caloroso “In bocca al lupo”.
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