Cassani: motore, cervello e cuore
Solo, seduto su un muretto aspettava il ritorno di Bugno. Pensava alla moglie che viaggiava su un camper verso casa. Rivedeva la corsa. Lo scatto di Fondriest. L’indugio di Gianni. Era molto contento. E sognava di poter insegnare il ciclismo ai ragazzi
di Nome Cognome
STOCCARDA – Era seduto su un muretto davanti l’albergo. Lo sguardo fissato nel vuoto. Il pensiero era lontano. Forse sul camper che viaggiava verso Solarolo con la sua famiglia. C’era aria di festa nell’albergo. E gran parte di quella festa era stata propiziata dalla sua splendida corsa. Era contento, ma sentiva che qualcosa vicino gli mancava.
Ho una vita bellissima – diceva all’amico cronista – una moglie eccezionale un figlio meraviglioso, non guadagno tantissimo, ma il giusto. Mi piace un sacco il mestiere che faccio. La bicicletta mi dà le stesse emozioni ed entusiasmi di quando avevo vent’anni.
Spiegava così la sua grande serenità, quella maturità che gli consente di essere in corsa uno degli elementi più razionali, più lucidi, più equilibrati, più utili.
E’ certamente uno dei corridori più stimati e valutati perché alle sue ottime doti di gregario, aggiunge la preziosissima capacità di la corsa.
E’ vero – ammette – so di avere questa capacità. Ho avuto la fortuna di correre con tanti campioni e questo mi ha permesso di capire. Non sono un campione, non ho dei mezzi tali da sopportare errori. Ho sempre fatto tanta fatica. Quindi ho dovuto aguzzare l’ingegno anche per necessità:
Bisogna avere delle qualità ed evidentemente a me manca qualcosa. Cosa non lo so nemmeno io. Vedo che nei finali riesco a stare con i migliori, anzi sono quelle le situazioni nelle quali riesco a dare il meglio di me. Però mi rendo conto che c’é qualcosa che mi divide da loro. Mi fa essere meno di loro.
Eppure non bisogna essere dei campioni per avere da Cassani il segnale giusto. Al Tour de France anche Lietti e Cenghialta hanno saputo mettere a frutto la vicinanza del compagno.
Mi piacerebbe – confessa – poter fare il direttore sportivo, ma più ancora insegnare il ciclismo ai giovani. Con la mia fatica ho imparato delle cose che mi piacerebbe trasmettere.
Come hai affinato le tue qualità?
Io sono particolarmente tagliato per i finali di corsa. Se la gara si mette in un certo modo negli ultimi sessanta chilometri so di poter fare molto bene
Era il regista della Nazionale. Martini ha una grandissima fiducia nel corridore romagnolo e quel ruolo che in passato era stato di Moser prima e di Saronni poi, è piovuto sulle sue spalle.
Mi esalta la grande fiducia che il commissario tecnico ripone in me. E quando riesco a meritarla, per me è il massimo…
Intorno impazza la festa. Gli italiani che sono riusciti a scovare l’albergo della Nazionale assediano i loro beniamini che si prestano alle foto ricordo, agli autografi. E’ festa e nessuno trova un diniego. Anche Davide, ogni tanto interrompe la chiacchierata per soddisfare queste richieste.
Come si gestisce una Nazionale con così tanti capitani?
Credo che la cosa più importante sia stata la volontà dei capitani di trovare un punto di incontro, di fare di questo gruppo con tanti campioni un gruppo affiatato.
E Chiappucci, giudicato il più indisciplinato?
Ho litigato molte volte con Chiappucci durante la stagione, ma sono stato il primo durante la corsa ad andargli a fare i complimenti perché ha corso in maniera intelligente e molto utile.
Quanto ha scompaginato i piani, l’inizio di gara con la foratura di Giovannetti e la caduta di Argentin?
Grazie a Dio, nulla. I due fatti sono capitati in un momento che il gruppo non andava fortissimo ed il recupero è stato piuttosto agevole. Anche Moreno non aveva riportato grossi danni.
E la fuga di Chioccioli?
E’ lì che ho fatto i complimenti a Chiappucci. Franco è stato bravo ad entrare in quella fuga, ma Claudio è stato bravissimo a chiudere il buco ed annullarla. Non era un gruppo che poteva starci bene. Chioccioli era solo e su dieci uomini eravamo in una situazione di inferiorità. Lì ho capito che la squadra avrebbe lavorato bene.
Perché?
-Perché ho visto la generosità a sacrificarsi, la disponibilità anche in una fase di corsa più oscura.
E la seconda caduta di Moreno?
Mi dispiace molto per Moreno. Stava bene. Aveva preparato con grande impegno la corsa e restare tagliati fuori così…
Ma cosa è successo?
-Io ero avanti, non ho visto. Ma mi è stato raccontato che è caduto su due (Richard e Anderson, n.d.r.) che gli erano caduti davanti.
L’attacco di Fondriest era programmato?
Si erano parlati Bugno, Fondriest e Chiappucci visto che Moreno era rimasto tagliato fuori. I primi due stavano bene. Claudio si sentiva meno brillante. Aveva lavorato molto.
Quando Moreno è rimasto tagliato fuori?
Dopo la caduta, il gruppo si è allungato molto e su uno scatto di Fondriest si è spezzato in due.
Quale è stata a quel punto la vostra decisione?
Ci siano guardati e quando abbiamo visto che tre dei quattro capitani erano davanti abbiamo deciso che la cosa ci stava bene. Eravamo in sei.
Cosa avete deciso di fare?
Giovannetti era il più stanco anche perché aveva già lavorato molto. Allora si è deciso di lasciare a lui il compito più pesante finché ne avesse avuta la forza, cercando così di preservare gli altri uomini. E Giovannetti ha cercato di imporre un’andatura alta. Poi è scattato Delgado.
E Bugno, cosa diceva?
So- Perché stava sempre dietro?
E’ il suo modo di correre. Apposta io andavo da lui ogni tanto. Mi interessava che si tenesse pronto perché ormai eravamo alle fasi decisive. Ma è inutile contestarlo. Lui corre così e finché vince…
Ma con Fondriest davanti i giochi sembravano fatti…
Sì, perché italiani e francesi avevano fatto catenaccio. Ma credo che sia stata un’altra guerra a condizionare quel finale.
Quale?
Quella tra olandesi. Fondriest non è stato inseguito con tanta determinazione perché aveva la maglia azzurra, quanto perché sul pantaloncino c’era scritto Panasonic. Si sono scatenati quelli delle Buckler e Maassen ha fatto cose incredibili. Credo che questa sia stata la causa principale del fallimento della fuga di Fondriest.
Poi il quartetto e la volata di Bugno.
E’ stato bravissimo Gianni e non era certo una cosa facile quella che gli si chiedeva. Era il più responsabilizzato ed il più controllato.
Non dice nulla di sé stesso. Della sua corsa eccellente sempre in prima fila. Non sottolinea che oltre a gestire la regia della Nazionale, oltre a chiudere tutti i buchi possibili, è riuscito anche ad essere il migliore degli italiani dopo il nuovo campione del mondo. Anzi, quando gli viene fatto notare, si schernisce.
Stavo lì perché mi preoccupavo di evitare che altri raggiungessero quei quattro. Con Gianni davanti eravamo tranquilli…
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