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Bugno, guardati sei divino

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STOCCARDA – Era partito Delgado. Lo scatto in progressione del campione spagnolo sembrava annunciato. Mancava poco più di un giro alla fine e gli azzurri avevano lavorato bene. Ma quello scatto di Delgado sembrava una condanna senza appello del loro eccellente lavoro. Stoccarda si annunciava sotto la grande collina che per sedici volte i corridori del mondiale avevano scalato. Il percorso abbastanza anomalo aveva impaurito parecchio i corridori al primo impatto. Sette chilometri di strada in una lunga e pesante salita e poi la discesa pedalabile e quindi molto veloce e infine i tre chilometri appena della pianura col traguardo fissato sul viale del leggendario Neckarstadion. Tutti gli azzurri avevano lavorato molto bene sino a quel momento. Cassani era stato superbo nel chiudere i buchi e nel gestire gli umori degli uomini. Era il palese regista sul sellino. Mentre Argentin era stato il protagonista negativo d’un incredibile incidente in partenza. Una bandiera tricolore delle mille che sventolavano in ogni senso, gli era caduta addosso portata dal vento. E gli si era intrecciata tra le gambe e bicicletta facendolo cadere. Nulla di grave. L’incidente gli aveva però creato nervosismo e lo aveva distratto da una concentrazione perfetta.
Bontempi s’era fatto carico di un lavoro pesante andando in testa sin dall’inizio a pilotare il gruppo. La sua presenza aveva dato ben presto ai rivali la sensazione di essere alle prese con una squadra padrona. Solo i francesi cercavano di reagire con uscite a raffica che mettevano sempre in pericolo l’unità di gruppo. A noi premeva mantenere la calma per i primi giri e poi rispondere agli attacchi oppure provocarli per togliere dalle ruote il maggior numero di rivali prima dell’epilogo. Bravo Bontempi. Bravo anche Giovannetti ma al di sopra di tutti, sino al traguardo, sarebbe stato Cassani, il vero cervello della formazione. Cervello, cuore motore della squadra.

Adesso però sembrava che il destino ci volesse punire con un atto di assoluta ingiustizia. Delgado se ne andava tentando di raccogliere il frutto da noi pazientemente coltivato. Il suo vantaggio si stabilizzava perché dietro gli spagnoli frenavano e gli altri aspettavano che gli italiani rispondessero. La patata bollente era nelle nostre mani ed era in quel momento che ci assaliva la paura che dietro, a giochi quasi fatti, i nostri cadessero nella rete di un’arida lotta personale.
Invece dal gruppo si fece avanti Bugno. Dopo un palese movimento di impazienza di Cassani, Bugno si fece avanti senza battere ciglio e con poche pedalate mandò in frantumi il tentativo di Delgado.
Era il segnale definitivo della nostra presenza. Sul rilancio della corsa partiva Fondriest con determinazione e grandissima agilità. Fondriest guadagnava terreno facendosi agganciare soltanto da Madiot. Ecco una coppia in fuga a poco più di un giro dalla fine. Sarebbe stata la coppia fortunata?

Il mondiale viveva minuti di straordinaria bellezza. Trecentomila persone incalzavano con grida passionali di incredibile forza. Gli italiani erano una marea: i gruppi erano sormontati da immense bandiere estratte da molte case di quassù. Da tutta la Germania i “paesani” erano giunti a Stoccarda mescolandosi coi veneti (tantissimi), i romagnoli, i toscani, i lombardi di Bugno e Chiappucci, i trentini di Fondriest. Niente da fare.
Un Golz attivissimo, memore della sua nascita a Stoccarda, rilanciava preparando il terreno ad un Bugno sempre celato nell’esile gruppo dei superstiti. Sei azzurri erano in buona compagnia: la squadra fino a quel punto aveva lavorato in maniera stupenda.
Era saltato Argentin ma ormai la partita se la giocavano i grandissimi tra i quali, in primafila, il nostro Bugno. Chiappucci aveva già speso tantissimo sicché alla sua corsa mancava l’irruenza della sua fantasia. In testa il movimento si faceva più febbrile.
La corsa affrontava l’ultimo giro mettendosi subito sulla salita decisiva. Delgado era rientrato nei ranghi rinunciando al sogno ma intorno a lui gironzolavano con velleità non piccole vecchie scorze come Fignon e Indurain, come Mottet e Madiot, non sazio del tentativo compiuto alla ruota di Fondriest. E allora?

Il momento era di grandissima intensità emotiva. Un assalto qualsiasi sarebbe stato decisivo e Bugno, la nostra speranza, restava nell’ombra quasi divertito di compiere questo gioco fondato sul rischio. Egli evidentemente sapeva d’essere l’uomo più forte sicchè nulla lo impauriva della corsa ormai approdata alla fine. La collina andava scalata con pazienza e con la massima freddezza possibile. Così si gestiva il campione facendo rischiare ai cultori il collasso. In questo momento, lungo una strada che saliva pesantemente tra le case di un borgo illustrato da splendide creazioni allegoriche sulla bicicletta, il mondiale viveva il suo momento più difficile è più bello. Erano rimasti ormai in pochi sulla strada di un traguardo vicinissimo. La fatica aveva spento negli ultimi giri gambe e sogni di molti: il circuito, apparentemente semplice, aveva messo giù la maggioranza dei concorrenti arresi sulla cima del monte che data la non durissima pendenza ma la lunghezza della salita, tutti avevano sempre dovuto scalare con un rapporto impegnativo.

Bugno, dove sei? Il campione stentava ancora ad uscire creando sofferenza non piccola. Il rischio diventava ad ogni metro di strada più grande ma altro non era possibile fare.
Cassani andava a ronzare un paio di volte intorno all’uomo in odore di santità ma non otteneva nulla se non l’intima soddisfazione di aver compiuto il suo dovere. Bugno, dove sei?
Ormai mancavano poche centinaia di metri alla cima della collina ed ecco il primo evento. Attaccano Indurain e Bugno. Il momento della resa dei conti sembra giunto in un lampo. Poche settimane prima, Indurain aveva celebrato a Parigi la sua vittoria del Tour. Aveva battuto un Bugno che sui Pirenei lo aveva “perdonato”. E Bugno aveva riconosciuto in Indurain il campione più forte anche se in realtà lui stesso, riflettendo bene sulla viaggio, sapeva che a Indurain pur forte, aveva parecchio spianato la strada. E adesso?

Eccoli di nuovo tutti e due sul ring di una sfida ancora più grande. Bugno chiamava il rivale alla sfida e Indurain accettava uscendo dal suo angolo di corsa come un ballerino andaluso improvvisamente ispirato da una rumba flamenca. Indurain usciva dalla mischia e si metteva al mozzo di Bugno accettando la sfida nella quale, ahimé, si infilava uno scomodo cliente: il rosso olandese Rooxs, dotato di grinta quanto serviva e di grande esperienza. Sui tre, in pochi metri, giungeva con un volo radente anche il colombiano Mejina, un tipo vispo e dotato di forza e di coraggio per andare.
Ecco il treno della vittoria. Ecco il convoglio al quale la corsa proponeva subito una strada che in larghe curve e lunghi rettifili in discesa planava velocissima sulla splendida città. Da questo momento in avanti, Bugno si sarebbe gestito con grandissima freddezza denunciando (ma questo lo avremmo capito dopo) la sua straordinaria sicurezza in corsa. Egli sapeva che tutti e tre i rivali avrebbero rivelato una forza minore e comunque sentiva di viaggiare verso l’approdo con la vittoria addosso. Ma nulla lasciava intendere se non di volersi affidare ad una tattica molto prudente. Il gruppo dei superstiti viaggiava a pochi secondi di distanza ma a Bugno, in certi momenti di grazia, che il tempo sia scandito in secondi o in minuti evidentemente non interessava. Egli si gestiva come se alle spalle del piccolo convoglio non vi fosse altra gente che il pubblico esaltato dall’evento.

Bugno non tirava. Egli preferiva piazzarsi in ultima posizione cedendo talvolta ai rivali anche qualche metro di strada. L’altissima velocità in una strada in discesa sconsigliava al campione inutili rischi. Sappiamo che Bugno non è un discesista acrobatico e sappiamo anche ch’egli nella sfida non si esprime mai con impeto irruente alla maniera di Chiappucci. Ma quei gesti compiuti con così grande freddezza non creavano in chi osservava da vicino grandissimo ottimismo: non è difficile capirlo. In pochi minuti il convoglio sarebbe giunto sotto il traguardo del campionato del mondo e Bugno sembrava deciso a battersi aumentando al massimo l’incertezza sull’esito. Un sadico gioco dell’uomo comunque più forte? Oppure una sua naturale maniera di esprimersi in una sfida alla quale egli riesce pur sempre a togliere il veleno della drammaticità?

Bugno arrivava con i quattro alla pianura. La strada avrebbe imposto ai corridori un paio di curve non facili prima della soluzione finale. Nell’ultima di quelle curve il giorno prima i dilettanti avevano subito un torto crudele. Il sovietico li aveva beffati tagliando all’interno con un colpo di astuzia. Belli non aveva avuto spirito e forza per chiudere il buco improvviso correndo al mozzo del rivale sicché inutile risultava – anche se per un soffio – la rimonta straordinaria di Rebellin al quale cinque metri di strada in più avrebbero fruttato la maglia iridata. Bugno aveva fatto tesoro di queste esperienze. E probabilmente aveva ascoltato volentieri anche i ragionamenti di Martini il quale aveva verificato con i dilettanti, appena tornati dal circuito, i rapporti praticati dai suoi.

Ma adesso la strada era alla fine. Quattro corridori si gettavano le spalle 252 chilometri di viaggio ed affrontavano gli ultimi ottocento metri per conquistare un podio. Su quei metri noi avremmo giocato la nostra carta migliore, la carta di Bugno. Come?

Nessuna strategia o astuzia immaginava il campione alle cui orecchie giungeva solo l’urlo passionale degli italiani che sulla strada del traguardo si moltiplicavano. Bugno si guardava intorno facendoci tremare ma la sua visione delle cose era chiara. Sicura. Egli aveva già fatto i conti delle forze. Nelle sue gambe e nelle gambe dei rivali. Sicchè aveva deciso che sarebbe bastato, su quel lungo rettifilo del leggendario stadio di Stoccarda, fare come aveva già fatto per catturare Delgado: una pedalata in più. Ed eccolo potentissimo in testa. Eccolo in fuga verso il traguardo, pur braccato da una compagnia già condannata alla sconfitta. Ed eccolo campione del mondo col busto alzato e le braccia spalancate nel cielo di Stoccarda.

Un lavoro perfetto. Un trionfo giunto apparentemente senza storia ma dovuto ad una straordinaria presentazione della squadra diretta dal vecchio Alfredo il quale ha raccolto quest’anno ciò che avrebbe potuto l’anno scorso in Giappone (della qual cosa siamo profondamente felici) e ad una prova maiuscola di Bugno al cui trionfo nulla vorremmo togliere dicendo che non avrebbe potuto fare diversamente perché era l’uomo più forte così come lo era al Tour de France e così come lo sarà negli anni in arrivo.

Ricordate l’ultimo numero di Bicisport? In copertina avevamo scritto, commentando il Tour: Bravo Indurain, ma a Stoccarda faremo i conti. Infatti… Formidabile tutto. Anche ciò che ha fatto Zenoni con i suoi. L’oro del quartetto e la quasi medaglia d’oro di Rebellin. Una valanga d’uomini tra i primi. Un progetto ambizioso da parte di un uomo che rappresenta un capitale del nostro movimento così come i corridori che vincono. Una speranza non piccola per le Olimpiadi del prossimo anno.

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