Ballero, allora? «Se parto combatto»

Didasclaia
di Nome Cognome
LES MEUX – Se dico che mi fa male, mi fa male veramente. Se decido di partire, parto per fare la corsa. Poi sarà la strada a decidere.
Queste parole Ballerini le ha ripetute decine di volte. Al telefono, davanti ai microfoni, davanti ai taccuini, sino a non poterne più e sperare di svegliarsi dopo il brutto sogno, carezzarsi la spalla destra e sentire che non c’è mai stato niente.
Nel paese a pochi chilometri dal via della Roubaix, in una stanza d’albergo tutta legno e tendine bianche, Franco sta facendo di tutto per esorcizzare i fantasmi che agitano la sua mente e nella ricerca della concentrazione non c’è posto per dubbi o paure. Neppure una prova sul pavé, neanche una, per evitare che il tarlo dell’insicurezza possa insinuarsi nell’anima. Neppure uno scatto, per la paura che il dolore e l’infiammazione riescano a vincere la sua determinazione di partire.
Il giorno peggiore, giovedì, il giorno dopo. La sera prima, subito dopo la Gand assassina, c’era stato appena il tempo di rendersi conto e maledire dentro di sé la causa di quella caduta. La spalla faceva male, era uscita, ma l’entità dell’incidente era tutta da verificare.
«Il dolore era incredibile – ricorda – tanto da pensare che ci fosse qualcosa di rotto. Poi ho sentito che la spalla era uscita ed ho fatto un movimento che la facesse tornare a posto. Il dolore è passato, ma era rimasta l’infiammazione».
Fosse stato per il dolore, sebbene la radiografia escludesse lesioni tendinee, giovedì sarebbe tornato a casa. Solo con i dubbi e la sua maledizione a girare per le stanze dell’albergo che ospitò la nazionale per il mondiale vinto da Fondriest a Renaix. Un impacco ghiacciato e ionoforesi a ridurre l’infiammazione.
«E sperare – ricorda ancora – di svegliarmi e non sentire più niente».
La sera, il momento più duro, nel vivere l’allegria dei compagni, dissimulando il tormento interiore per non essere di imbarazzo. E la sua gentilezza estrema nel rispondere a un giornalista belga a domande come tocchi d’orologio. E la Roubaix? Partirai? L’avresti vinta? Se dico che mi fa male, la risposta, mi fa male veramente. Se decido di partire, parto per fare la corsa. Poi sarà la strada a decidere. E le speranze disilluse della squadra e le frasi di rito e il dispiacere per gli altri più che per se stessi: non è una tragedia, in fondo, c’è di peggio…
«Ero veramente a terra – confessa ora con un sorriso appena abbozzato – perché il dolore era lancinante. Quella sera ero a un passo dal decidere di non partire, ma ho voluto ugualmente aspettare. Questa corsa mi piace al punto che per non farmi partire avrebbero dovuto spararmi».
E poi la fuga mesta verso l’ascensore, ad augurarsi che arrivasse presto per rimanere finalmente solo con le domande che lo tormentavano.
Venerdì, il giorno della verità. Così, saltando per la prima volta la ricognizione dell’Arenberg, Ballero saliva in sella per un programma ridotto di allenamento. Farà male, non farà male? L’attesa davanti alla porta dell’albergo nel formulare le ipotesi più diverse. E’ fuori da tre ore, evidentemente riesce a pedalare… Eccolo, è arrivato.
«Bisognerebbe – le prime parole – alzare di un pelino la sella. Il manubrio va bene così… ».
Se pensa alla bici, si legge nello sguardo dei più, allora ha in mente di partire. Il dolore è sopportabile.
«Sto meglio, è vero – subito dopo – e il dolore è nullo quando rimango basso. Se mi alzo sui pedali si sente di più: avevano ragione i medici, ieri è stato il giorno peggiore».
E il racconto della notte serena e dell’allegria al risveglio accendevano lumi di speranza nello sguardo che poche ora prima era prossimo al pianto. Quale potente fato avrà mai sfidato se proprio alla Roubaix gli eventi si accaniscono contro di lui?
Il sabato l’ultimo test in bicicletta e le conferme alle buone sensazioni di ieri. E la ricerca della concentrazione prima della corsa, la voglia di parlare che scema sempre più e l’estrema attenzione a tutti i dettagli.
«Nonostante la spalla – diceva poco prima – me la sento bene. E’ una corsa che mi piace e merita la massima concentrazione. Sono arrivato già una volta secondo pur essendo al top della condizione: allora spero che sia possibile vincerla con una condizione inferiore ma con la più grande fortuna».
E come d’azzardo parlando, viene in mente una regola non scritta del poker: mai e poi mai tradire un punto vincente, si rischia di non imbroccare più una mano. La vendetta della Parigi-Roubaix per lo sprint del 1993 si compie inesorabile da due anni: è tempo di fermarla. E se vincesse, chiede qualcuno con la preghiera nella voce, proprio quest’anno che sta così male? Sarebbe nel mito, di sicuro, insieme ad altri grandissimi.
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