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All’alba di lunedì bottino a casa

Arriva all’aeroporto di Milano nel cuore della notte. Affitta una macchina e torna a casa da solo. Alle due Franco Ballerini è tra le braccia della moglie che lo aspetta. Non riesce a dormire. Ha una fame da lupo, non mangia qualcosa di caldo da quasi 24 ore. Appena spunta il nuovo giorno va a restituire l’automobile a Firenze e torna a casa pedalando. Compra i quotidiani, incontra un mucchio di gente

didascalia testo finto

di Nome Cognome

CANTAGRILLO – La mattina dopo la Roubaix, molto di buon’ora, un ciclista vestito come Ballerini, con gli stessi occhiali di Ballerini, con la stessa bici di Ballerini, pedalava a trenta all’ora lungo la strada ondulata che porta da Firenze a Pistoia. Ci sono cicloamatori che amano imitare perfettamente i loro idoli, per questo ogni tanto qualcuno li prende in giro.
Alla prima edicola il ciclista ha tirato i freni e comprato tutti i quotidiani disponibili. Il giornalaio, vedendolo così abbigliato, non poteva che chiedergli:

Ha visto il Ballerini, ieri?

Come no!

Grande impresa, eh?

Davvero.

Ma lo sa che quando è entrato nel velodromo mi sono venuti i brividi?

Sapesse a me…

Poi ha ripreso la strada per fermarsi, qualche chilometro dopo, davanti a una villetta con un piccolo giardino. Ha messo la bici in garage e il latte a scaldare sul fuoco. Poi si è seduto sul divano e ha aperto i giornali, tutti con la sua foto in prima pagina. Sul tavolino al suo fianco un curioso trofeo. Una grossa pietra a forma di cubo in precario equilibrio su una base di marmo. Oltre dieci chili di peso e una sottile lastra di metallo incollata. Con inciso sopra: «Velo Club Roubaix». Il nostro uomo ha sollevato con fatica il trofeo, verificando che la pietra si stava staccando. Con pragmatismo toscano, sorseggiando il latte, ha pensato: «Se mi casca su un piede son dolori. Speriamo che mio suocero sia capace di incollarla».
«Ho dormito pochissimo la notte dopo. Avevo perso l’aereo per Bologna, ho dovuto prendere quello per Milano. Sono arrivato alla Malpensa alle undici e mezza. Ho affittato una macchina e sono partito per Pistoia. Gli occhi mi si chiudevano ma ho tirato dritto. Sono arrivato alle due e mezza, ho abbracciato mia moglie e quei quindici amici che avevano resistito fino a quell’ora per aspettarmi sotto casa. Mi sono svegliato alle sette con una fame da lupo, ho mangiato tutto quello che c’era in frigo guardando la televisione. Ho visto per la prima volta la corsa al telegiornale di Canale 5. Era tra i titoli, con la politica e la Formula Uno. Poi ho pensato che dovevo andare a Firenze a restituire l’auto. Non sapevo come tornare e allora ho messo nel cofano la bici. Ho lasciato la macchina in agenzia e sono salito in sella. C’era il sole e poco traffico. L’allenamento più bello della mia vita».
In nottata le tipografie di Cantagrillo hanno lavorato a pieno ritmo e la mattina dopo i manifesti inneggianti al Ballero sono stati appiccicati un po’ ovunque. Sui balconi striscioni tipo stadio («Siamo nella storia, grazie Monsieur Roubaix»), sull’asfalto slogan disegnati con vernice indelebile. Via IV Novembre (ora «via Ballerini»), quella dove abita l’uomo del pavé, ha cambiato aspetto. Sempre durante la notte un gruppo di tifosi ha scaricato un intero camion di betonelle, quelle piastrelle per i pavimenti che si incastrano l’una sull’altra. Lavorando a tempo di record, giusto davanti al garage di casa, sono stati messi in posa venti metri di pavé rosa. Un temporaneo, originalissimo monumento all’impresa dell’illustre cittadino.
«In aereo stavo seduto a fianco di Saronni e avevo vicino Bortolami e altri miei compagni di squadra. Abbiamo scherzato, riso e brindato alla vittoria mangiando una fetta di salmone. Un volo bellissimo. Mi viene da pensare a quello di due anni fa, quando sono scappato dal velodromo e da Duclos pensando che non sarei tornato più alla Roubaix. In aereo ero solo con Martini e non riuscivo a spiccicare parola. Alfredo cercava in tutti i modi di consolarmi. Mi diceva che era stata un’esperienza importante, che avrei sicuramente vendicato la sconfitta, che il vincitore morale ero io. Io però sapevo che avevo perso e perso male. Gettando al vento un’occasione unica».
Casa Ballerini oggi è un porto di mare. Sul tavolo una pila di fax e una di telegrammi. Tra gli altri quello di Luciano Pezzi, che racconta di aver vissuto la stessa emozione di trent’anni fa, quando vinse col suo Gimondi. Il telefono squilla in continuazione, chiama anche Luca di Montezemolo che ha visto la registrazione della corsa a Buenos Aires e vuole Franco a Maranello per fargli provare una Ferrari. E’ arrivato, direttamente da Parigi, Jean-Luc Gatellier, l’inviato dell’Equipe, con un fascio di giornali francesi freschi di stampa. Sono arrivati, per un saluto e un abbraccio, amici, parenti e i cicloamatori che Franco incontra abitualmente in allenamento. Lui, gentilissimo, non riesce a liquidare nessuno. Gianmarco compie due anni in questi giorni: «Da ieri ripete: “Babbo rubè. Babbo rubè”. Non so cos’ha capito ma quando sono tornato mi è saltato al collo».
«Di quello che ho letto sui giornali non mi sono piaciute due cose. Primo, io non ho ingigantito il problema alla spalla. Non era un trucco o una mossa tattica. Il giorno dopo la Gand non potevo muoverla e ancora adesso non riesco a distendere il braccio destro. Devo ringraziare Van Mol, il medico della Mapei, e Cavalcanti, il mio massaggiatore. Hanno rimesso le cose a posto in poco tempo. Secondo, non è vero che Bortolami si sia risentito. Alla fine mi ha abbracciato ed era più felice di me. Senza di lui e senza questa squadra non avrei mai vinto».
Sul televisore scorrono le immagini della corsa di ieri. La cassetta finirà nella videoteca di Franco, assieme a quelle delle altre sei Roubaix a cui ha partecipato. Ecco il momento in cui, con una virata a destra, entra nel velodromo. Ancora una ventina di secondi e la corsa della sua vita sarà sua.
«Quando sono arrivato a duecento metri dallo stadio mi è venuto un cappone incredibile. Quel giro di pista da solo me l’ero sognato cento volte mentre pedalavo in allenamento. E una parte di quell’emozione l’avevo vissuta da ragazzino, vedendo le vittorie di Moser. Ho passato il traguardo con una zolla di terra in gola e le lacrime agli occhi. Mai avrei creduto di piangere».
Messo da parte ogni residuo nazionalismo (il vecchio Duclos era fuori corsa da un pezzo), il pubblico francese ha accolto Ballerini con grande calore: «I francesi amano il corridore che dà spettacolo. Da qualunque parte venga. E credo che tutti si siano resi conto che finalmente raccoglievo quello che avevo seminato in sei anni».
Intanto continua a squillare il telefono, continuano ad arrivare amici, fiori, dolci e uova di Pasqua. Franco saluta la mamma che torna a casa e si butta sul caffellatte e sui cantuccini portati dalla moglie Sabrina. Confusione a parte, è finalmente tranquillo. Ha risposto per le rime a chi lo definiva attaccante senza risultati, uomo di tanti proclami e poca concretezza.
«Non è facile finalizzare al cento per cento le proprie forze su una determinata corsa. Non è facile soprattutto se quella corsa è la Roubaix dove basta un niente per buttare tutto all’aria. E perdere una Roubaix come l’ho persa io nelle ultime due edizioni ti mette a terra. No, non ho mai perso la fiducia. Primo perché credo di sapere quello che valgo, soprattutto sul pavé. Cento volte me lo sono ripetuto: “Franco, tu qui vincerai. Non so quando ma vincerai”. Secondo perché ho avuto vicino chi mi ha aiutato. Mi riferisco a Squinzi ma, credimi, non voglio fare il solito elogio dello sponsor. Squinzi mi è stato vicino nei momenti più difficili, con un entusiasmo e una passione che vanno molto al di là di quella di una semplice sponsor.
«Poi vorrei rispondere a chi dice che sono un uomo buono solo per le classiche primaverili e nemmeno per tutte. Tra qualche giorno, appena cominceranno le fioriture, io comincerò a trasformarmi in un cicloamatore. Non scherzo! Per un mese, un mese e mezzo, io riesco a stare in bicicletta al massimo per sessanta chilometri. Dopo sessanta chilometri sono da buttare via. E le salite che di solito faccio col «53» mi tocca farle col «42». L’anno scorso, al test spirometrico, hanno verificato che la mia capacità vitale scende da oltre sette litri a poco più di tre. In questo modo io perdo non solo il mese e mezzo più importante della stagione ma comprometto anche la preparazione di quello successivo. Ho provato di tutto: vaccini, cure omeopatiche, terapie sperimentali. Tutto inutile.
«Subito dopo l’Amstel partirò per gli Stati Uniti dove correrò il Dupont Tour. Mi hanno detto che lì dovrei stare meglio. Ragazzi, se solo riesco a respirare bene, dal Tour in poi vedrete un altro Ballerini…».

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